lunedì 31 luglio 2017

7 italiani su 10 insoddisfatti del proprio lavoro

Questo articolo de: "la Stampa" ci spiega che, se da un lato è lo stipendio a preoccupare i lavoratori, dall’altro emerge una mancanza diffusa di piani di welfare. In conclusione, 7 su 10 sono insoddisfatti.

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venerdì 28 luglio 2017

Le differenze culturali (4)

(Fonte: "Il Dirigente")

Orientamento al lungo termine
 
Valore che permea soprattutto le culture orientali e confuciane, caratterizzato da una visione a lungo termine e da un forte pragmatismo. Due esempi: le strategie che riguardano i prossimi cento anni
delle aziende giapponesi; e il famoso detto cinese, quintessenza di pragmatismo: che il mio gatto sia
bianco o nero, l’importante è che cacci i topi in cantina.
 

Indulgenza
 
La sesta dimensione individua culture che tendono alla soddisfazione relativamente libera dei desideri umani più naturali di godersi la vita, divertirsi, essere felici; al polo opposto, troviamo culture restrittive, in cui tale soddisfazione dev’essere limitata e disciplinata da rigide convenzioni sociali. È un valore da considerare quando, ad esempio, si deve posizionare e promuovere un prodotto sul mercato: cultura più ottimista o pessimista, spensierata o austera?


Consapevolezza dei propri valori culturali
 
Un’indagine condotta da PricewaterhouseCoopers segnala che per senior executive europei e americani espatriati le maggiori sfide sono: 69% il cambiamento dei comportamenti abituali, 65% le differenze culturali, 54% le diversità nelle prassi d’affari.
Non disponiamo di dati su quante risorse finanziare, di tempo e psicologiche si possano risparmiare acquisendo competenze culturali, ma il buon senso ci dice che molto si può ancora fare se Kpmg indica che nelle fusioni internazionali il 53% del valore degli affari va perduto.


Ma cosa fare, concretamente? Il primo passo è essere consapevoli  dei propri valori culturali confrontandoli con quelli delle altre culture: in questo ambito tutto è relativo, non esistono valori migliori di altri, ma solo diversi. È così possibile abbandonare etnocentrismi e pregiudizi, per comprendere, razionalizzandole, le profonde motivazioni dell’altro. Formare, poi, e costruire competenze culturali, grazie a percorsi specifici, per tracciare strategie efficaci di comunicazione, relazione o negoziali, di collaborazione e management, efficaci perché adeguate ai contesti culturali in cui si opera.
 

(...)

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giovedì 27 luglio 2017

Le differenze culturali (3)

(Fonte: "Il Dirigente")

Mascolinità
 
Valore che si riflette nella competitività, nella realizzazione di obiettivi concreti e nella motivazione data dal successo personale; al polo opposto si colloca la femminilità che preferisce la collaborazione, la modestia, l’essere di aiuto agli altri e punta alla qualità della vita più che al successo conquistato. Le culture più femminili: Olanda, Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia, dove ci si aspetta che il manager sia soprattutto un bravo conciliatore delle diverse esigenze individuali, più in ascolto che al comando, ed eserciti una vera leadership consultiva.
Recentemente un direttore generale italiano, a capo di un’azienda olandese, volendo rinnovare completamente la sede aziendale, stava per compiere un tipico errore da cultura mascolina (e meno egualitaria): ristrutturare l’edificio durante la chiusura estiva. Alla domanda: «Ha consultato il personale?», rispose: «Certo che no, sarà una bella sorpresa per tutti!». Errore, perché? In quella cultura, ogni decisione va presa ottenendo il consenso di chiunque ne sia toccato, altrimenti anche le migliori intenzioni rischiano di sortire malumori e demotivazione.


Avversione all’incertezza

 
Valore che porta una cultura a privilegiare tutto ciò che possa dare sicurezza (ad esempio, norme, regole e procedure) e allontani l’ansia che deriva da ambiguità e incertezze. Se questo valore è meno
fortemente sentito, le culture vivono con meno stress e accettano l’incertezza che la vita sempre comporta. Questa dimensione ha, tra l’altro, un forte impatto su pianificazione, controllo e burocrazia statale o aziendale. Il Giappone, ad esempio, è ad altissima avversione all’incertezza, con rigidi rituali sociali, il Regno Unito si colloca al polo opposto, come tutto il mondo anglosassone. L’Italia si posiziona alta: abbiamo emotivamente bisogno di regolamentare la realtà che ci circonda, ma questo non implica sempre un incondizionato rispetto delle regole che ci diamo, con buona pace di molti pregiudizi altrui.


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mercoledì 26 luglio 2017

Le differenze culturali (2)

(Fonte: "Il Dirigente")

Oggi, sempre con l'aiuto della rivista "Il Dirigente" iniziamo a vedere le prime due dimensioni culturali alle quali bisogna prestare attenzione quando ci si trova a interagire con colleghi di altri Paesi.

Distanza di potere
 
Prima dimensione, Distanza di potere: come, cioè, una cultura concepisce il rapporto con il potere e con chi lo detiene all’interno di una gerarchia, esplicita o implicita, in famiglia, a scuola, in azienda. 

Fondamentale riconoscerla in ogni relazione manageriale e d’affari.
Nelle culture gerarchiche, ad esempio, chi ha potere è attorniato da evidenti status symbol, malvisti
e quasi irritanti per chi proviene da culture egualitarie.
Un coachee svedese, futuro ceo di una succursale turca, prima di insediarsi volle sostituire l’enorme scrivania e la poltrona in legno scolpito del suo ufficio con mobili molto più semplici. Malinteso culturale! La Svezia è egualitaria (e, come l’olandese, preferisce il basso profilo), quindi per lui quei mobili erano spropositati; mentre nella cultura turca, più gerarchica, rappresentavano i simboli del potere: eliminandoli, avrebbe perso per collaboratori e clienti anche il potere insito nel ruolo e, quindi, il loro rispetto. 


Individualismo

 
Valore per cui in una cultura i legami sociali sono centrati sul singolo individuo, contrapposto al collettivismo, dove il valore sociale di una persona (la sua “faccia”) dipende dalla sua appartenenza a un gruppo o a una famiglia e dalle buone relazioni che annovera. Una curiosità: le culture collettiviste sono molto più numerose delle individualiste, concentrate soprattutto in Europa occidentale e nel mondo anglosassone. Da qui le grandi difficoltà di manager e negoziatori anche italiani di trattare, ad esempio, con le culture orientali, arabe e latino-americane. La strategia vincente è: investire molto tempo, anche mesi, nel costruire buone relazioni, per creare fiducia ed essere inclusi nella rete sociale, senza dimenticare che il buon manager si comporta da vero capofamiglia, severo quando occorre, ma che si prende cura in tutto e per tutto delle sue persone (e delle loro famiglie).


A domani per l'analisi di altre due dimensioni!

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martedì 25 luglio 2017

Le differenze culturali

(Fonte: "Il Dirigente")

Differenze culturali tra paesi: tema attualissimo, da affrontare con urgenza, non per pura curiosità intellettuale, ma perché da queste differenze possono sorgere conflitti imprevisti e incomprensioni molto profonde, in cui rischiano il naufragio iniziative nate da presupposti tecnici, finanziari, d’affari e di crescita eccellenti. 

Si parla in molti casi di shock culturale: può sembrare un’esagerazione, ma sfido chiunque a mantenere la calma quando scopre che la riunione presso il partner finlandese si svolge in una sauna a 90°, che la controparte cinese dice sempre di sì, ma non fa mai quanto convenuto, o ancora che il collega tedesco s’intestardisce sulla sua tesi e diventa anche molto arrogante.
Non occorre andare molto lontano per incontrare problemi culturali: anni fa, una multinazionale decise di spostare la propria sede europea dall’Olanda al Belgio, dove già esisteva una filiale, trasferendo tutto il personale olandese.
Un trasloco di poco più di un centinaio di chilometri, due paesi senza nemmeno una frontiera, una lingua in comune: eppure nei primi sei mesi la convivenza tra olandesi e belgi fu difficilissima, quasi caotica, aspri conflitti, con gli affari in caduta libera!
Purtroppo nessuno aveva preparato tutti i colleghi ad affrontare la situazione, spiegando che il modo
in cui belgi e olandesi concepiscono i rapporti d’affari e la comunicazione con i manager, la motivazione al lavoro o semplicemente quando fare la pausa caffè, è completamente diverso, direi diametralmente opposto! 


Ma proprio qui sta il vero nocciolo della questione: chi nasce e cresce in una cultura reputa “normale”, giusto, buono, adeguato, quello che per altri, con valori culturali diversi, è “anormale”, sbagliato, ingiusto…
Oggi aziende e organizzazioni hanno sempre più bisogno di una “bussola” per orientarsi nel contesto globale e multiculturale in cui operano. E sicuramente necessitano di qualcosa di più approfondito di una business etiquette, che spesso finisce per accentuare la sensazione di estraneità nei confronti di altre culture.


Il libro "Culture e organizzazioni" (...) descrive la ricerca statistica condotta dal professor Gert Hofstede in oltre cento paesi, da cui scaturisce il modello interpretativo delle diversità culturali nazionali, riconosciuto come riferimento irrinunciabile per chiunque tratti temi interculturali. 


Le 6 dimensioni del modello interpretativo
 
In grande sintesi, il modello individua sei dimensioni, cioè sei valori culturali, e ci indica quanto ogni valore si rifletta nei comportamenti osservabili in ciascun paese indagato dalla ricerca.
Le dimensioni corrispondono ai dilemmi fondamentali che tutte le culture devono risolvere.


Domani inizieremo a vedere insieme queste dimensioni. Nel frattempo c'è qualcuno di voi che si trova ad essere in contatto con culture diverse dalla sua e che vuole riportarci questa esperienza?

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lunedì 24 luglio 2017

Problemi nella ricerca del lavoro? Da ora ci pensa Google

Problemi nella ricerca del lavoro? Da ora ci pensa Google. Ce ne parla Business Insider.

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venerdì 21 luglio 2017

Colloquio di assunzione? I consigli dei guru del management

(Fonte: "La Stampa")

Come comportarsi durante il colloquio di assunzione? La risposta scatena una valanga di consigli spesso fuorvianti, come soprattutto quello di recitare una parte per stupire il selezionatore. Una stroncatura arriva invece da alcuni guru del management che suggeriscono esattamente il contrario. In sostanza, dicono i ricercatori, durante un colloquio meglio rilassarsi e cercare di essere se stessi: è il modo migliore per ottenere il lavoro.
Il cambio di marcia per i jobseeker viene da una batteria di ricerche apparse sul Journal of Applied Psychology, in cui Celia Moore (dipartimento di management dell’università Bocconi), Sun Young Lee (University College London), Kawon Kim (The Hong Kong Polytechnic
University) e Daniel Cable (London Business School) confermano che i
candidati di alta qualità che si sforzano di presentare se stessi con precisione e verità aumentano la probabilità di ricevere un’offerta di lavoro.
Mentre i luoghi comuni sulla ricerca di lavoro incoraggiano a presentare solo gli aspetti migliori per apparire più attraenti agli intervistatori, gli autori della ricerca (The Advantage of Being Oneself: The Role of Applicant Self-Verification in Organizational Hiring Decisions) hanno constatato che è più vantaggioso presentarsi per come si è veramente,
specie se si è candidati di alta qualità. Al centro della ricerca è il concetto di autoverifica, il desiderio di presentarsi con precisione, in modo che gli altri si facciano di noi la stessa immagine che abbiamo di noi stessi. E la ricerca mostra, per la prima volta, che l’autoverifica può avere importanti effetti importanti proprio durante una selezione.
Tre gli studi che lo dimostrano.
Il primo utilizza un campione di insegnanti di tutto il mondo alla ricerca di un lavoro negli Stati Uniti e conclude che una forte propensione all’autoverifica aumenta la probabilità di trovare un lavoro dal 51% al 73%.
Il secondo studio conferma questo effetto in un ambito radicalmente
diverso: avvocati che fanno domanda per una posizione nelle forze armate statunitensi, nel qual caso i candidati di alta qualità aumentano
di cinque volte le possibilità di ricevere un’offerta di lavoro, dal 3% al 17 per cento, se hanno una forte propensione all’autoverifica. L’effetto si evidenzia solo per i candidati di buona qualità; per gli altri la propensione all’autoverifica può addirittura peggiorare la posizione.
Nel terzo studio i ricercatori hanno analizzato 300 persone selezionando quelli con una propensione all’autoverifica molto alta o molto bassa. Le persone con una forte propensione parlano di se stessi in maniera più fluida e sono percepite come più autentiche e meno manipolatrici. Il
che spiega perché ottengano buoni risultati nel mercato del lavoro. «In un colloquio di lavoro - conclude Celia Moore - cerchiamo spesso di presentarci come perfetti. Il nostro studio dimostra che questo istinto è sbagliato. Gli intervistatori percepiscono un’autorappresentazione
troppo perfetta come inautentica e potenzialmente sviante. In definitiva,
se si è un candidato di alta qualità, si può essere se stessi. Si può essere onesti e autentici. E si avranno maggiori probabilità di ottenere un lavoro».


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giovedì 20 luglio 2017

I manager tornano a piacere alle PMI

(Fonte: "Il Corriere della Sera")

Un problema spesso segnalato dalle associazioni di dirigenti è il basso tasso di managerialità delle nostre piccole e medie imprese (Pmi). Una carenza che sarebbe alla base della scarsa
produttività di molte piccole aziende, soprattutto quelle familiari in cui l’imprenditore non si fida di apporti esterni. Specularmente, spesso i manager migliori tendono a puntare sulle grandi imprese, non dando credito alla possibilità di carriera nelle Pmi. La diffidenza reciproca, però, secondo
l’Osservatorio della società di selezione di personale specializzato Technical hunters, negli ultimi due anni si è significativamente ridimensionata. Al punto che, nel biennio, le assunzioni di manager nelle Pmi sono cresciute del 15%, concentrandosi soprattutto nell’impiantistica e nella chimica e
componentistica per il settore industriale. I più ricercati sono stati i direttori tecnici, commerciali, finanziari e di produzione, oltre agli operation manager. Le aree geografiche in cui il fenomeno è più evidente sono la Lombardia, il Triveneto e l’Emilia Romagna. «La ragione di questo trend —
sostiene Matteo Columbo, director di Technical hunters — sta nel fatto che le Pmi che hanno superato bene gli anni peggiori della crisi hanno un forte bisogno di managerializzazione per
sostenere la crescita. Dal punto di vista dei manager, invece, si è diffusa la percezione che le piccole aziende che sono sopravvissute abbiano idee vincenti e imprenditori forti e che quindi siano
molto promettenti».


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mercoledì 19 luglio 2017

Formazione soltanto per i vertici aziendali

(Fonte: "Affari&Finanza")


Sei anni fa a fare training era stato il 35% delle società, nel 2015 il 21% e vi ha partecipato il 28% degli organici. Situazione rovesciata per i manager: aumentato il budget.

Secondo Unioncamere, nel 2015 il 21% delle imprese ha organizzato corsi di formazione per i propri dipendenti, a cui ha partecipato il 28% degli organici aziendali. Numeri in diminuzione rispetto all’anno precedente  e  soprattutto  al  periodo  2009-11, quando, si legge nell’ultimo rapporto
della banca dati Excelsior, accanto ai licenziamenti c’è stato anche “un eccezionale impegno delle imprese a intensificare  l’attività  formativa  delle  proprie risorse umane, per ritrovare competitività e attuare quelle riorganizzazioni tecniche e organizzative che la crisi imponeva”.
 

Sei anni fa a fare formazione era stato il 35% delle aziende. Il quadro, però, cambia molto se ci si focalizza sulla formazione delle sole figure di vertice: nel 2015,  si  legge  nell’ultima  ricerca  di
Asfor, l’associazione per la formazione manageriale, “dopo molti anni c’è un segnale di ripresa dei budget”, con il 41% delle aziende che dichiara di aver aumentato le risorse finanziarie destinate alla formazione. Insieme ai soldi, aumenta anche la consapevolezza delle imprese. Si nota ancora una tendenza a considerare la formazione interna tra le prime scelte, con il dipendente che insegna al dipendente. Questo però non basta più e l’esigenza di diversificare le competenze e approfondirle per funzione e obiettivo, sommate all’indiscusso valore del confronto in contesti interaziendali sono
sempre più considerati di valore (...).

Tra gli studenti che partecipano ai corsi di formazione ci sono numerosi manager: hanno tra i 35 e i 40 anni e hanno accumulato un’esperienza lavorativa di almeno  un  decennio.  Con  la  formazione
puntano allo sviluppo delle competenze specialistiche e manageriali, per fare carriera e acquisire maggiore sicurezza e credibilità nel proprio contesto lavorativo,  oltre a  un  miglioramento
dell’aspetto retributivo. Nella classifica delle proposte di formazione più frequentate, seguono Mba e master part time  (20%)  e  infine  quelli  full  time (8%). Qui prevalgono i neolaureati con un’età compresa tra i 23 e i 26 anni e l’interesse per opportunità professionali all’estero.
Consapevoli dell’importanza di una specializzazione post-lauream, puntano ad acquisire competenze specifiche, concrete e spendibili nel mercato del lavoro, avere più opportunità di inserimento  professionale  e fare  esperienze di lavoro qualificanti in funzione dello sviluppo futuro di carriera.



(...)

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martedì 18 luglio 2017

Pendolari godetevi il viaggio (5)

(Fonte: "Harvard Business Review")

Abbreviate il viaggio

Se avete fatto tutto il possibile per migliorare la qualità dei vostri trasferimenti ma questi vi creano ancora stress e incidono negativamente sul vostro benessere e la vostra produttività, esiste un'altra opzione: abbreviarli.

Il punto da cui partire sono le decisioni su dove vivere e lavorare. La maggior parte delle persone sovrastima i vantaggi di uno spostamento più lungo, per esempio uno stipendio più alto o una casa più grande in una zona più bella, e sottovaluta invece gli svantaggi del pendolarismo.

(...)

Questa tendenza è dovuta all'incapacità di valutare i costi fisici, psicologici ed emotivi di un viaggio più lungo. Se state valutando un nuovo lavoro o cercando casa, raccomandiamo di non cadere in questo tipo di distorsioni. Soppesate attentamente gli svantaggi di uno spostamento quotidiano importante prima di imporvelo. 

Un modo per accorciare il viaggio senza cambiare residenza o impiego è lavorare di tanto in tanto da casa, o in un luogo ad essa più vicino (...)

Alcune ricerche mostrano come le persone che hanno la possibilità di lavorare alcuni giorni da casa siano più soddisfatte e produttive rispetto a chi non ha questa opportunità.

(...)

La maggior parte dei pendolari che affrontano trasferimenti importanti si sente vittima inerme di un male necessario. Arriva al lavoro e a casa esaurita e questo pregiudica il suo benessere e la sua prestazione. 
Ma è possibile agire per rendere il viaggio da e per il luogo di lavoro un'esperienza più positiva e magari anche più breve.

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lunedì 17 luglio 2017

Pendolari godetevi il viaggio (4)

(Fonte: "Harvard Business Review")

Condividere con il proprio vicino

Finora abbiamo esplorato come migliorare gli spostamenti casa-lavoro dedicandosi ad attività individuali. Ma uno degli aspetti negativi di un viaggio è appunto che può essere solitario.
Studiando la questione, il politologo di Harvard Robert Putnam ha rilevato che per ogni 10 minuti in più di viaggio i pendolari hanno il 10% di rapporti sociali in meno, il che porta all'isolamento e al disagio. E' quindi opportuno prevenire il problema utilizzando il viaggio per entrare in relazione con gli altri.

(...)

Pensate quindi a come potenziare il lato sociale del viaggio da pendolare. Se vi muovete con i mezzi pubblici, togliete gli auricolari e sfidate la regola non scritta che impedisce di chiacchierare. Se invece vi spostare in automobile chiamate un amico, invitate un vicino che lavora non distante da voi a condividere il viaggio, o ancora provate un'app (...) che aiuta a formare equipaggi per il carpooling.

Non vi basta? C'è ancora un ultimo consiglio. A presto!

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venerdì 14 luglio 2017

Pendolari godetevi il viaggio (3)

(Fonte: "Harvard Business Review")

Trovare il proprio "spazio di libertà"

Mentre siamo bloccati nel traffico, in attesa dell'autobus in ritardo o in piedi in un affollato vagone della metropolitana, sentiamo di non avere controllo sul nostro viaggio. Ma possiamo ridurre la frustrazione concentrandoci su ciò che invece possiamo controllare: come impieghiamo il tempo del viaggio.

Abbiamo già parlato dei rituali e della pianificazione produttiva, ma pensiamo anche alle cose che ci piace fare, come ascoltare musica, recuperare in podcast le puntate perdute delle nostre trasmissioni preferite o leggere un libro. 

(...)

Si può rendere il tempo più sopportabile se lo si pensa come un'occasione per coltivare le proprie passioni.
Al di là della passiva fruizione dei media, si può utilizzare il tempo per apprendere una nuova lingua con un supporto audio oppure, se avete le mani libere, optare per un nuovo hobby, come disegnare o lavorare a maglia.

Alla base di questo consiglio vi sono le ricerche che mostrano una correlazione tra maggiori livelli di autonomia e un grado più alto di benessere, soddisfazione e produttività, nonché più basso di stress.

(...)

Provate allora a non pensare agli aspetti negativi del pendolarismo e a vederlo invece come un'opportunità di esprimervi e ricaricarvi.

Ci sono ancora due consigli bonus per essere pendolari un po' più  felici. Ne parleremo nei prossimi giorni.

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mercoledì 12 luglio 2017

Pendolari godetevi il viaggio (2)

(Fonte: "Harvard Business Review")

Prepararsi ad essere produttivi

Se dedicate almeno una parte del viaggio a pianificare la giornata o la settimana a venire, arriverete al lavoro meglio preparati e perciò più sicuri di voi, più carichi e produttivi.

(...)

L'autocontrollo, ovvero la  capacità di resistere alle tentazioni che possono minare gli sforzi per raggiungere obiettivi a più lungo termine (come ad esempio controllare Facebook anziché lavorare o mangiare la torta portata  dal collega invece di una mela) aiuta.
(...)
Coloro che hanno elevati livelli di autocontrollo tendono a utilizzare il tempo per attività di pianificazione produttiva (...) pensano a quello che faranno quando arriveranno in ufficio (...) cercano di programmare le cose da portare a termine nel corso della giornata.

(...)

Chi programma di più è in grado di gestire meglio gli spostamenti più lunghi.

(...)

Si tratta di una strategia semplice e diretta, accessibile a chiunque. Basta chiedersi: quali passi posso fare oggi e nel corso di questa settimana per avvicinarmi ai miei obiettivi di lavoro e di carriera? Come posso essere più produttivo?

A domani per il  terzo suggerimento.

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martedì 11 luglio 2017

Pendolari godetevi il viaggio

(Fonte: "Harvard Business Review")

Ogni giorno nel mondo milioni di persone affrontano lunghi spostamenti per recarsi al lavoro. 

(...)

Tuttavia pochi si godono questo tempo. 

(...)

Gli studi degli esperti mostrano, però, come piccoli cambiamenti possano migliorare l'esperienza dei pendolari rendendoli più sereni e produttivi.  

Ecco  tre strategie da seguire per provare a raggiungere questo risultato.

Usare il tempo per sgombrare la mente

Il viaggio casa-lavoro è  un'opportunità di transizione dal personale al professionale. La mattina a casa siamo genitori, partner, factotum; quando arriviamo in ufficio, indossiamo i panni professionali. La sera possiamo ritornare alle tematiche personali anche quando abbiamo ancora del lavoro da finire prima di andare a dormire.
Ognuna di queste transizioni richiede di cambiare atteggiamento mentale e, se non ci diamo il tempo di farlo, pensieri e preoccupazioni attinenti a uno dei nostri ruoli probabilmente inquineranno anche gli altri, schiacciandoci.

Un modo per rendere fluide queste transizioni mentali è utilizzare dei semplici rituali. (...) 
Coloro che, recandosi al lavoro, ripetono piccole routine come leggere le ultime notizie sul treno o dare un'occhiata all'agenda per la giornata sono persone più  positivamente attivate riguardo alle attività da intraprendere, più soddisfatte del proprio lavoro e meno stressate rispetto a chi, invece, non ha delle routine consolidate.

Un risultato che ha poco di sorprendente in quanto è dimostrato che i rituali offrono una serie di benefici, anche a coloro che non credono nel loro valore o nei loro effetti: diminuiscono l'ansia che precede prestazioni con poste in gioco elevate, aumentano la capacità di godere delle attività in cui siamo impegnati e aiutano anche a riprendersi più rapidamente da fallimenti o perdite. 

Perciò prendete in considerazione la possibilità di creare una routine che vi accompagni nel viaggio verso il luogo di lavoro. Basta anche prendere un caffé nello stesso bar ogni mattina. 

Domani vedremo al seconda tecnica.

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lunedì 10 luglio 2017

Analisi SWOT applicata a noi stessi

Molti di voi conosceranno lo strumento che si chiama analisi SWOT dove l'acronimo SWOT è formato dalle iniziali delle parole inglesi "Strenghts" (punti di forza), "Weaknesses" (punti deboli), "Opportunities" (opportunità) e "Threats" (minacce).  Pochi, però, crediamo lo applichino per fare un'analisi seria su propri punti forti e sugli aspetti da migliorare per crescere come professionisti.

Generalmente, l'analisi SWOT viene utilizzata dalle organizzazioni prima di lanciare un nuovo prodotto o un nuovo servizio sul mercato. Questo strumento, però, è applicabile anche ad un individuo, utilizzando i quattro parametri come guida per avviare una nuova carriera lavorativa o nell'avanzamento professionale di una carriera già avviata.Come?

Prendete carta e penna.Come prima cosa, scrivete i vostri punti di forza cioè le cose che ritenete di saper fare bene.  

Potreste essere buoni ascoltatori, bravi a parlare davanti a un pubblico, ottimi organizzatori, pronti a prendere l'iniziativa, bravi a convincere le persone, ottimi comunicatori, ecc.
Adesso passiamo ai punti deboli. Giudicatevi onestamente e, se proprio non ci riuscite, fatevi aiutare da un collega.  

Nessuno di noi è bravo in tutto. I punti deboli sono aree dove potete migliorare, aspetti che vi creano non pochi problemi nel mondo del lavoro. Potreste perdere facilmente le staffe quando dialogate con un collega, essere disorganizzati, avere paura di accettare nuove sfide, non essere interessati a imparare cose nuove, non essere in grado di esprimervi bene in italiano, ecc. Il terzo e il quarto punto da prendere in considerazione sono quelli delle opportunità e delle minacce, cioè di quei fattori esterni che possono favorire o ostacolare la vostra carriera.Ovunque siate oggi, lo dovete ai vostri punti forti e alle vostre debolezze. Ma se volete migliorarvi professionalmente dovrete essere in grado di riconoscere e cogliere le opportunità che vi si presentano e individuare per tempo eventuali minacce per affrontarle in maniera consapevole e non restarne vittima. Una competenza che non avete, ad esempio, può essere vista come un'opportunità per migliorare colmando una lacuna o come una minaccia che vi farà perdere un'occasione di avanzamento di carriera.

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venerdì 7 luglio 2017

La selezione al buio

Ultimamente il nuovo trend che riguarda il curriculum è quello di cancellare i propri dati personali per fare in modo che non ci siano le basi per un'eventuale discriminazione in base a genere, età o provenienza geografica.

Il "blind recruitment" (selezione al buio) sta prendendo piede negli Stati Uniti e serve per evitare che un selezionatore venga influenzato da pregiudizi che nulla hanno a che fare con la scelta che dovrebbe fare per trovare il candidato migliore ad una certa posizione di lavoro.
Provate a mettervi per un attimo nei suoi panni: non leggereste con maggiore attenzione il curriculum di qualcuno che proviene dalla vostra stessa città o che ha lo stesso cognome di una persona che conoscete? Probabilmente sì ma queste associazioni mentali non dovrebbero influenzare (positivamente o negativamente) la carriera di un professionista.

Cosa ne pensate? Credete sia utile fare qualcosa del genere anche in Italia?

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giovedì 6 luglio 2017

L’illusione della competenza (2)

(Fonte: "Internazionale")  

Sopravvalutarsi è abbastanza comune.
Da una ricerca è emerso che l’80 per cento degli automobilisti si ritiene al di sopra della media, cosa statisticamente impossibile. Il problema è che gli incompetenti non solo fanno scelte sbagliate, ma sono anche incapaci di accorgersi dei loro errori.
In uno studio durato un semestre, gli studenti universitari più bravi erano in grado di prevedere meglio la propria resa agli esami futuri analizzando i loro risultati precedenti e la loro posizione nelle graduatorie. Quelli che ottenevano i risultati peggiori invece facevano previsioni errate,
nonostante ricevessero chiari feedback sui loro sbagli. Messi di fronte ai propri errori, gli incompetenti li difendono a spada tratta. 


Come scrisse Charles Darwin nel saggio  L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, “l’ignoranza genera fiducia più spesso di quanto non faccia il sapere”.

Bravi e modesti

 
Neanche le persone intelligenti però, riescono a valutare correttamente le loro capacità. Se gli studenti che non raggiungono la suicienza si sopravvalutano, quelli che prendono il massimo dei voti si sottovalutano. Dunning e Kruger hanno infatti scoperto che gli studenti migliori sottovalutavano
la propria competenza relativa, presumendo che se per loro gli esercizi cognitivi erano facili lo sarebbero stati anche per gli altri. La cosiddetta sindrome dell’impostore si può paragonare a un efetto Dunning-Kruger al contrario: i più abili non riescono a riconoscere il proprio talento e considerano gli altri altrettanto competenti. La differenza è che con i giusti riscontri le persone competenti sono in grado di modificare la valutazione di sé, gli incompetenti no.
È proprio questa la chiave per non fare la fine dello stolto rapinatore di banche: non farsi ingannare dal senso di superiorità e imparare a valutare correttamente le nostre competenze. In fondo, come diceva Confucio secondo Henry D. Thoreau, “Sapere che sappiamo ciò che sappiamo e che
ignoriamo ciò che ignoriamo è la vera saggezza”.  


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mercoledì 5 luglio 2017

L’illusione della competenza

(Fonte: "Internazionale")

Un giorno del 1995 a Pittsburgh, negli Stati Uniti, un corpulento signore di mezza età ha rapinato
due banche in pieno giorno. Non indossava nessun travestimento, e prima di uscire ha sorriso alle videocamere di sorveglianza. La stessa sera la polizia ha arrestato McArthur Wheeler, che ha reagito con sorpresa alla vista dei filmati. “Eppure avevo usato il succo”, ha mormorato. A quanto pare pensava che cospargersi la pelle di succo di limone lo avesse reso invisibile alle videocamere: dato che è usato come inchiostro simpatico, bastava che lui non si avvicinasse a una fonte di calore per non essere visto. La polizia ha concluso che Wheeler non era né matto né sotto effetto di droghe,
aveva solo terribilmente torto.


La vicenda ha attirato l’attenzione degli psicologi David Dunning e Justin Kruger della Cornell university, che hanno cercato di capire perché alcune persone ritengono le proprie competenze molto più elevate di quanto siano in realtà. Questa illusione della competenza, nota come “effetto Dunning-Kruger”, descrive la distorsione cognitiva che porta a sopravvalutarsi.
Per  studiare  il  fenomeno  Dunning  e Kruger hanno ideato degli esperimenti ingegnosi. Hanno rivolto domande a sfondo grammaticale, logico e umoristico ad alcuni studenti universitari e poi hanno chiesto a ciascuno di valutare il proprio punteggio complessivo e il punteggio relativo rispetto
a quello degli altri. Stranamente chi aveva totalizzato il punteggio più basso negli esercizi cognitivi sopravvalutava sempre la sua prestazione, e non di poco. Chi rientrava nell’ultimo quartile era convinto di aver fatto meglio di due terzi degli altri.
Ma l’illusione della competenza va ben oltre le aule universitarie. Per lo studio di controllo Dunning e Kruger sono andati in un poligono di tiro per chiedere ai frequentatori informazioni sulla sicurezza delle armi. Anche in questo caso, chi ha dato più risposte sbagliate sopravvalutava le proprie
conoscenze sulle armi da fuoco. 


A parte le nozioni concrete, però, l’efetto Dunning-Kruger si può osservare anche nell’autovalutazione  di  tantissime  altre competenze. Basta guardare un talent show per notare lo stupore sul viso dei concorrenti che non superano le prove e vengono scartati dai giudici: sono inconsapevoli di quanto il loro illusorio senso di superiorità li abbia fuorviati.




Domani continueremo la lettura dell'articolo. Nel frattempo, avete voglia di dirci cosa ne pensate?

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martedì 4 luglio 2017

Chiedere un aumento (3)

(Fonte: "Dirigente")

Quanto fisso e quanto variabile? 
 
Bisogna sempre tenere presente che la crescita all’interno della stessa azienda è regolamentata dal
contratto collettivo. Crescite interne con cambio di ruolo e aumento di responsabilità potrebbero invece essere associate a un cambio di azienda. Se oggi un cambio esterno viene premiato con un +15% medio sul pacchetto precedente, un cambio interno che non ha un rischio così forte può vedere premiato il dipendente con un +5% sul fisso. A questo bisogna poi aggiungere il variabile, legato sia a obiettivi aziendali sia personali, che è ormai sempre più parte integrante dei pacchetti dei quadri.
In caso di negoziazione di variabile è bene chiarire con precisione i parametri per ottenerlo e
concordarli per iscritto, in modo che per entrambi le parti sia tutto ben definito prima e non si creino
false aspettative, da una parte e  dall’altra.


Il variabile di solito pesa tra il 10 e il 30% della retribuzione fissa.
Per i ruoli più orientati al cliente, i valori sono più alti e in alcuni casi possono anche raggiungere il
40/50% del fisso.
Il variabile può essere anche concordato a scaglioni, con meccanismi di accelerazione e in crescita
con le responsabilità. 


In conclusione, possiamo dire che il  variabile  su  obiettivi  e  l’auto aziendale sono spesso i due elementi aggiuntivi alla retribuzione fissa che fanno crescere il proprio pacchetto.



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lunedì 3 luglio 2017

Chiedere un aumento (2)

(Fonte: "Dirigente")

Come motivare le richieste

Bisogna  sempre  arrivare  all’incontro preparati sul proprio ruolo in azienda o su quanto si è fatto, soprattutto se riteniamo che i risultati raggiunti abbiano rappresentato un punto a favore della società. Altro aspetto fondamentale è prepararsi al futuro: cosa faremo per l’azienda? Quali idee abbiamo? Che tipo di accelerazione possiamo dare? L’orientamento al passato è corretto (soprattutto se andiamo a parlare di premi), mentre quello verso il futuro è più interessante  per  l’eventuale  aumento della parte fissa della retribuzione  e  l’investimento  che  la società deciderà di fare su di noi.


Non solo aumenti

 
Alcune aziende sono molto inclini a investire sulla formazione dei propri dipendenti e quindi può essere interessante rinunciare a un aumento di stipendio in cambio di un master che accresca le nostre competenze e dia alla società un dipendente contento e più preparato. La stessa cosa può valere per corsi di lingue straniere o coaching individuali. Entrambi molto utili ai quadri con prospettive di crescita.
Qualche multinazionale integra i pacchetti di welfare per i dipendenti che agevolano le scuole
dei figli o le attività sportive, oppure concede più ore libere.
L’auto  aziendale  resta  uno  dei benefit più usati per compensare l’aumento del pacchetto retributivo.
Una buona soluzione è un mix delle due tipologie, parte economica e benefit di altra natura. 



Domani concluderemo l'analisi riportata sulla rivista.

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