venerdì 30 dicembre 2016

Trovare un lavoro in linea con le nostre aspirazioni

Quando si cerca un lavoro, il rischio è quello di concentrarsi sulla descrizione dell'annuncio di una nuova posizione e non su ciò che sarebbe davvero importante per noi.
Bisogna ricordare, infatti, che non è tutto oro quello che luccica e che è facile restare delusi se utilizziamo parametri sbagliati per giudicare un'ipotetica occupazione in una nuova organizzazione.

Per capire meglio di cosa stiamo parlando, è un po' come quando in un negozio scegliamo a colpo sicuro un abito per poi accorgerci - nel camerino - che addosso ci sta davvero malissimo. Vi ricorda qualcosa? Ecco...con gli annunci e i colloqui di lavoro è un po' la stessa cosa.

Al di là di quello che ci raccontano, è importante capire se un certo lavoro sia o meno adatto a noi e per scoprirlo si possono seguire quattro strade.

La prima è quella di essere onesti e scavare per bene dentro di noi per capire cosa desideriamo davvero.

Anche se una descrizione suona bene e chi abbiamo davanti ci esalta la nuova azienda nella quale dovremmo andare a lavorare, è fondamentale rimanere con i piedi per terra e leggere tra le righe di quello che ci viene detto per individuare eventuali punti deboli o per scoprire se la cultura e i valori del posto dove potremmo lavorare saranno o meno in linea con i nostri.

E' importante anche provare a intuire se un lavoro del genere potrà aiutare il percorso di carriera che stiamo ipotizzando e prevedere se la routine di una normale giornata lavorativa là dentro saprà motivarci o, al contrario, è destinata a farci soffrire.

Se stiamo facendo le vostre valutazioni durante il colloquio, usiamo la chiacchierata con l'esaminatore come se fosse il camerino nel quale ci stiamo provando un abito per capire se davvero faccia per noi.


Sappiamo che abbiamo tutti bisogno di lavorare ma non dobbiamo farci sviare da questa certezza. 
Questa è l'occasione giusta per cercare il più possibile di raccogliere informazioni sugli spazi fisici nei quali dovrebbe svolgersi il nuovo lavoro (si tratta di open space o di uffici?) e, se abbiamo la fortuna di visitare l'organizzazione, su come appaiano le persone che vi lavorano (sembrano felici o infelici? Sono amichevoli nei confronti degli estranei? Appaiono annoiate e diffidenti? Rispettano un dress code nel vestirsi?) 
Queste e altre informazioni ci aiuteranno a dipingere un quadro più preciso delle politiche e dei valori che l'organizzazione ha più a cuore.

Un altro modo per non prendere in giro chi potrebbe assumerci e per non incorrere noi stessi in un'esperienza negativa è comunicare esattamente cosa ci aspettiamo dalla prossima esperienza professionale.
Dove ci vediamo da qui a cinque anni? Quale ruolo e quale tiplogia di organizzazione ci interessano davvero?

In ultimo, non ci resta che consigliarvi di non comprare qualcosa che non vi sta bene addosso e di ricordare che, se anche avete bisogno di una giacca o di una bella gonna, non è detto che quelle che avete in mano siano davvero quelle che vi valorizzano di più.

Non abbiate paura, dunque, di rifiutare un'offerta se ritenete che non sia quella giusta per voi perché non si allinea con il percorso di carriera che avete scelto o non è conforme ai vostri valori e alle vostre aspettative. 
Considerate il colloquio come una sorta di allenamento che vi aiuterà ad essere pronti quando vi troverete davanti l'occasione della vostra vita e cercate serenamente qualcosa di meglio.
In bocca al lupo!

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giovedì 29 dicembre 2016

Sul web poche microditte italiane

Internet traino degli affari ma in troppi lo ignorano. Ce ne parla "Affari&Finanza".

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mercoledì 28 dicembre 2016

Innovazione, cultura e qualità: perché non possiamo misurarle

Quando i professionisti della qualità si mettono alla ricerca di buoni KPI (Key Performance Indicator o  indicatori chiave di pretazione) per misurare le performance del sistema, spesso non si rendono conto che si deve partire da una buona domanda iniziale.  
Chiedersi, dunque, come si misuri l'innovazione o la cultura fa partire subito male tutto il ragionamento perché lo basa sulle domande sbagliate. 

Il problema è che non bisogna concentrarsi su concetti generali che non si possono misurare perché troppo complessi per essere riassunti in una o due misure.Quello che, invece, siamo in grado di misurare solo gli attributi specifici di questi concetti ed è proprio su questi che dobbiamo lavorare.

Nel caso dell'innovazione, ad esempio, questi potrebbero essere:
  • la dimensione del beneficio raggiunto tramite le attività relative all'innovazione;
  • il ROI delle innovazioni apportate;
  • la velocità di ottenimento delle innovazioni implementate;
  • la frequenza delle innovazioni;
  • il numero di persone coinvolte nel processo di innovazione;
  • ecc.
La stessa cosa vale per la cultura aziendale. Come si fa a misurarla? Anche in questo caso bisognerà rivolgere la nostra attenzione agli attributi della cultura che si desidera modificare e che potrebbero includere:
  • quanto spesso le persone imparano dagli errori commessi;
  • come venga praticato il miglioramento continuo e con che frequenza;
  • quanto le persone collaborino spontaneamente;
  • quanto le persone si adattino velocemente ai cambiamenti;
  • ecc.
Neanche la qualità di un servizio è misurabile e anche in questo caso è necessario rivolgersi agli attributi che potrebbero essere, ad esempio:

  • la soddisfazione del cliente;
  • la probabilità che un cliente raccomandi il vostro servizio ad altri;
  • la probabilità che un cliente si rivolga di nuovo a voi per usufruire di un servizio;
  • quanto venga erogato accuratamente il servizio;
  • quanto il servizio sia aggiornato rispetto a quelli dei concorrenti;
  • quanto sia facile per un cliente poter usufruire del servizio;
  • ecc.
Ricordando, quindi, che non possiamo misurare i concetti ma solamente i loro attributi che vogliamo cambiare o migliorare, sarà semplice trovare le misure più significative per la nostra organizzazione.

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martedì 27 dicembre 2016

Cos'è una matrice RACI?


Una matrice RACI è uno strumento che si può utilizzare quando, all'interno della gestione di un progetto, ooccorre individuare formalmente i ruoli e le responsabilità di ogni persona che farà parte del project team.  

E' particolarmente utile quando un progetto si estende a più parti dell'organizzazione o addirittura coinvolge  più aziende (ad esempio la vostra e quelle dei fornitori).
Prima di poter vedere come è fatta una matrice RACI abbiamo bisogno di capire bene i seguenti termini:
Responsabile dell'approvazione dell'attività (in inglese "Accountable"): è la persona che approva il lavoro da svolgere. Si tratta, tipicamente, di un profilo di alto livello;


Responsabile ("Responsible"): è la persona che dovrà svolgere l'attività che le viene affidata;


Persone consultate ("Consulted"): sono le persone che il responsabile avrà bisogno di consultare per poter svolgere al meglio il proprio compito;


Persone informate ("Informed"): si tratta di persone che non hanno bisogno di essere coinvolte attivamente nel progetto ma che devono essere informate relativamente a come progredisce


Ora che abbiamo capito quali sono le figure che vengono coinvolte all'interno di una matrice RACI, vediamo quali passi seguire per crearla:


  • si parte facendo sul lato sinistro della matrice un elenco di tutti i processi coinvolti;
  • nella parte superiore della matrice si elencano, poi, tutte le persone coinvolte nel progetto;
  • a questo punto non resta che compilare la griglia utilizzando le lettere A, R, C e I (se volete mantenere le iniziali dei ruoli in inglese) rispettivamente per chi ha approvato l'attività, il responsabile del suo svolgimento, le persone consultate e quelle semplicemente informate
  • in ogni riga della matrice (cioè per ogni attività) non dovrebbe esserci più di una persona responsabile, in caso contrario bisognerà concentrarsi per risolvere il conflitto per evitare che l'attività resti inevasa 
Qui sotto vi riportiamo un'immagine tipica di una matrice RACI. E' in inglese ma crediamo sia abbastanza comprensibile per tutti (in caso contrario, fatecelo sapere e provvederemo a tradurla).
 


Utilizzando una matrice RACI, tutte le persone coinvolte nel progetto sapranno chi è responsabile di che cosa e, in questo modo, le cose dovrebbero svolgersi in modo più disciplinato.

Voi la utilizzate?

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venerdì 23 dicembre 2016

Crolla il tempo indeterminato

Con le nuove assunzioni, crolla il tempo indeterminato. Eccovi l'articolo di "Italia Oggi".

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giovedì 22 dicembre 2016

30 quesiti per il colloquio di lavoro

Volete lavorare in una delle aziende più famode del pianeta?
Eccovi un'idea delle domande che vengono fatte durante i colloqui.

E se anche le vostre mire professionali fossero un po' più ridimensionate, magari questo articolo del Corriere riuscirà comunque a farvi sorridere.

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mercoledì 21 dicembre 2016

Essere felici sul lavoro?

Comunicare agli altri in modo diretto cosa si vuole, o non si vuole, fare, è la chiave per ottenere il massimo e vivere meglio le proprie relazioni personali e professionali.
Ce ne parla "la Repubblica".

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martedì 20 dicembre 2016

Un sonnellino al lavoro? In Giappone si può!

Se lavoraste in Giappone, dormire sul luogo di lavoro sarebbe assolutamente normale. Ce lo racconta "Il Corriere della Sera".

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lunedì 19 dicembre 2016

Qual è la postura corretta quando si lavora?

Qual è la postura corretta quando si lavora? In piedi o seduti non bisogna mai forzare.
Ecco l'articolo de: "Il Corriere della Sera".

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venerdì 16 dicembre 2016

Il welfare aziendale convince le imprese

Ricordate questo spunto dell'11 di ottobre? Torniamo sull'argomento con questo articolo de: "la Repubblica" che ci spiega come l'incentivazione convinca più di un'azienda su tre perché aumenta la produttività.

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Tre passi per rifiutare l'idea di qualcuno

Comunicare un rifiuto all'idea che qualcuno ha proposto allo scopo di aiutarvi non è mai una cosa semplice e va fatto in un certo modo per non portare la persona a una chiusura che potrebbe sfociare in un netto futuro rifiuto a collaborare.

Il modo di comunicare un rifiuto, infatti, ha un impatto enorme su come l'idea fornita possa comunque dare l'impressione di aver contribuito o meno a identificare ulteriori opportunità di miglioramento per il futuro.
Ci sono tre approcci per comunicare che un'idea è stata rifiutata. Vediamoli uno ad uno: 

POSITIVO:
Ringraziate la persona che vi ha offerto il proprio contributo e sottolineate tutti i punti positivi relativi all'idea che vi ha fornito. 

NEGATIVO:
Spiegate alla persona perché la sua idea non funzionerebbe e illustratele nel dettaglio le difficoltà e i pericoli di una sua eventuale applicazione. 

Un conto è dire semplicemente "no" e un altro è spiegare perché lo state dicendo.
CREATIVO:
Il terzo modo di affrontare chi ha proposto un'idea che non risulta adatta alla situazione è quello di partire da essa per cercare, insieme alla persona, alternative valide e provare a trovare idee che possano essere più aderenti alla realtà che dovete affrontare.
Chiedetevi come possiate utilizzare l'idea proposta per arrivare a conclusioni differenti e come possiate raggiungere il vostro obiettivo cambiando qualche cosa rispetto a quanto è stato fatto.  


Provate a ragionare chiedendovi "cosa succederebbe se….?" e prendete in considerazione nuove idee, cambiamenti, alternative.

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giovedì 15 dicembre 2016

Servizi per l'impiego accorpati in un sito

Avviato il portale Anpal, la nuova agenzia per il lavoro introdotta dal Jobs act.  Ce ne parla "Italia Oggi".

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mercoledì 14 dicembre 2016

I "professional" italiani più deboli di quelli europei

Nel nostro Paese sono agli ultimi posti per la convinzione di "valere" sul mercato. A sfavore giova la difficoltà di cambiare occupazione.
Ce ne parla "Affari&Finanza".

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martedì 13 dicembre 2016

La mia scrivania è un caos dunque farò carriera

(Fonte: "Il Venerdì")

Grande è la confusione sulla scrivania, la situazione è eccellente. Si può parafrasare così Mao Zedong per riassumere il contenuto di un nuovo saggio dell'economista e giornalista Tim Harford: "Messy. The power of disorder to transform our lives" (...).

Per Harford una delle più insospettabili ma potenzialmente dirompenti chiavi del successo può proprio essere una certa quantità di caos e imprevedibilità: nel lavoro come negli affari.

Mister Harford, ma davvero il disordine rende più produttivi?
"E' proprio così, ma capisco la sua sorpresa perché è anche la mia: io, ad esempio, provo piacere a riordinare la mia scrivania perché - inutile nasconderselo - siamo fatti così, abbiamo questo feticcio per tenere le cose al loro posto. Ma dopo averla sistemata, scopro che mi è più difficile lavorare, almeno fino a quando non è di nuovo in disordine.
Però non è una questione soggettiva: esistono studi che dimostrano questo effetto."

Come si può spiegare?
"Ci aiutano gli esperimenti dello psicologo Steven Whittaker. Studiando il modo in cui lavoriamo in ufficio, ha trovato che quanto più si cerca di organizzare i propri documenti, sia di carta che digitali, tanto più si perde il controllo delle informazioni su cui si lavora. Invece chi lascia che i documenti si accumulino in una pila sulla scrivania, sembra essere più efficiente al momento di ritrovare ciò che serve. La spiegazione sta nella difficoltà di prevedere il futuro, a meno che non si facciano lavori molto prevedibili, come la contabilità. Quando organizziamo le informazioni in cartelle seguiamo un ordine che ha senso in quel momento, ma può non corrispondere più ai nostri bisogni futuri: non sappiamo in anticipo quali saranno le cartelle più appropriate per i messaggi che arriveranno tra un mese o tra sei mesi. 
L'ordine impostato ieri, oggi può ostacolarmi, perché nel frattempo le cose cambiano." 

Vale anche per la scrivania?
"Sulla scrivania dei disordinati, in realtà, le cose si ordinano da sole: ogni volta che prendiamo un documento per usarlo e lo rimettiamo in cima alla pila, è come se la pila stessa si organizzasse. Perché le ultime cose con cui abbiamo lavorato, quelle che probabilmente ci serviranno di più anche dopo, saranno salite in cima. E quelle meno usate sprofonderanno verso la base della pila. 
Quello che sembra un mucchio di documenti riposti a caso, in realtà, non ha nulla di casuale".

(...)

Nel saggio lei non parla solo di scrivanie, ma di creatività, strategia, genio imprenditoriale come quello di Steve Jobs e di Jeff Bezos.
"C'è una strategia che accomuna, in un certo senso, anche Jeff Bezos e Donald Trump. Ed è proprio la strategia che ha portato Trump alla presidenza: scombussolare, creare una situazione confusa e disordinata - mi riferisco alle continue provocazioni verbali di Trump e al suo continuo cambiare argomento politico costringendo gli altri a rincorrere la sua sparata del giorno - sapendo di essere la persona più pronta a reagire al trambusto, creato ad arte, per avvantaggiarsene.

Besoz ha applicato una versione più seria, e del tutto imprenditoriale, di questa strategia impostata prima sul rompere gli equilibri - ad esempio irrompendo a sorpresa nel settore della vendita di giocattoli senza averne in deposito - e poi sul reagire prima di tutti, magari riducendosi a comprare dai concorrenti i beni ordinati, pur di soddisfare i clienti e imprimersi nella loro mente come servizio rapidissimo.

(...)

Steve Jobs invece apprezzava la virtù del disordine come stimolo alla creatività interna all'azienda: confidava nel potere degli incontri casuali tra dipendenti di reparti diversi perché dai loro scambi di vedute potessero scaturire nuove idee e soluzioni impreviste.
Per questo fece progettare gli edifici della Pixar con soltando due - ma molto grandi - toilette, dove tutti incrociavano tutti gli altri.

(...)

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lunedì 12 dicembre 2016

Obiettivi professionali entro i 30 anni

Quali obiettivi professionali bisogna raggiungere, secondo gli esperti, prima dei 30 anni?
Ce li elenca BusinessInsider Italia.


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venerdì 9 dicembre 2016

Le domande da fare a un colloquio di lavoro

Un candidato che durante un colloquio di lavoro faccia domande, di solito ottiene la piena attenzione del selezionatore perché mostra che sta facendo la sua parte per assicurare a entrambi che quello sia il datore di lavoro giusto per lui.  
Dopo tutto, ogni persona che cerca un nuovo dipendente vorrebbe scegliere qualcuno che pensa bene della sua organizzazione per qualche motivo, o perché è particolarmente innovativa, o perché l'ambiente di lavoro è sereno e rilassato, o - ancora - per l'attenzione nei confronti dell'ecologia o altro ancora e l'unico modo per scoprire tutto questo è una conversazione bidirezionale.  

Vediamo, allora, quali sono le domande migliori da fare alla fine di ogni colloquio di lavoro.


1. Perché questa posizione è disponibile? 

Facendo questa domanda apprenderete se la posizione è vacante perché nuova (appena costituita) o se dovrete sostituire qualcuno che se n'è andato o che è stato licenziato.  
Una nuova posizione è un segnale di crescita da parte dell'azienda e può stimolare altre domande interessanti per intavolare una bella discussione. Se, invece, si apprende che la posizione si è resa libera perché la persona che l'occupava se n'è andata, potreste provare discretamente a informarvi sul perché la persona se ne sia andata e fare le dovute considerazioni.
 
2. Quali sono le competenze necessarie per padroneggiare questo lavoro? 

Questa domanda segnala al selezionatore che il candidato è veramente interessato a vedere se ha tutto  quello che serve per svolgere al meglio il lavoro perché non vuole rivelarsi un bluff scoprendo di non avere le competenze necessarie per lavorare a pieno regime.  
La domanda fornisce anche l'occasione di dimostrare se si hanno le competenze necessarie per svolgerlo anche se, magari, non risultano subito evidenti nel curriculum.

Ve ne vengono in mente altre?

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mercoledì 7 dicembre 2016

La matrice di Eisenhower

Uno degli strumenti migliori per non annegare in un mare di cose da fare è organizzarle secondo la matrice di Eisenhower:



nel primo quadrante metteremo le cose urgenti e importanti, quelle da fare entro la giornata
nel secondo ci saranno le cose non urgenti ma importanti, quelle che - pur essendo fondamentali - non devono per forza essere fatte subito ma possono essere rimandate a domani
nel terzo posizioneremo quelle urgenti ma non importanti, le cose che - magari - è possibile delegare

nel quarto, infine, finiranno le cose non urgenti e non importanti che possono tranquillamente non essere fatte o, se questo non fosse possibile, programmate per quando non avrete niente di meglio da fare

Potete impostare il vostro diagramma su un cartellone da appendere al muro o su una lavagna e poi appendere nei diversi quadranti foglietti adesivi con la singola azione da compiere

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martedì 6 dicembre 2016

Le competenze che servono

Quali competenze servono ai nostri ragazzi per trovare un lavoro (e, possibilmente, tenerselo)?
Ce lo racconta "la Repubblica".

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lunedì 5 dicembre 2016

Nelle aziende crescono le irregolarità

"Italia Oggi" ci racconta come, negli ultimi tempi, stiano crescendo le irregolarità commesse all'interno delle aziende italiane. Addirittura in sei aziende su dieci si riscontrano anomalie...

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venerdì 2 dicembre 2016

Mangia la rana!

Conoscete l'invito americano "Eat the frog!" ("Mangia la rana!")? Deriva da una massima di Mark Twain: "Se la prima cosa che fai quando ti svegli al mattino è mangiare una rana viva, avrai la soddisfazione di sapere che probabilmente sarà la cosa peggiore che ti capiterà per tutta la giornata".

Questa esortazione dà il nome a una metodologia che aiuta ad aumentare la propria produttività spingendo chi la adotta a svolgere per primi i compiti più gravosi e quelli che piacciono meno.

Si articola in tre momenti:
  • fare una lista dei compiti da svolgere;
  • identificare le proprie "rane" (cioè le cose più difficili da fare e quelle che ci piacciono meno) e spostarle in cima alla lista;
  • "mangiare la rana" di prima mattina, appena si arriva al lavoro
Il motivo è presto detto: si rimanda tutto ciò che si ritiene difficile o che non ci piace fare. Affrontarlo come primo compito della giornata, senza rimandarlo con mille scuse, ci spingerà a fare poi anche tutto il resto perché rimarranno indietro compiti meno gravosi e che ci piace di più svolgere.

Troppo semplice per essere efficace? Perché non provate a mettere in pratica il suggerimento e ci raccontate poi com'è andata?

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giovedì 1 dicembre 2016

Piccole aziende che resistono

Quale sarà il futuro delle piccole aziende che stanno resistendo alla crisi? Ce ne parla "Affari&Finanza".

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mercoledì 30 novembre 2016

Stipendi più alti solo per alcuni

Quali sono le categorie che hanno visto crescere lo stipendio? Ce lo racconta "Affari&Finanza".

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martedì 29 novembre 2016

Il telelavoro è il futuro?

Il telelavoro è il futuro? Leggiamo cosa ci racconta "Affari&Finanza".

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lunedì 28 novembre 2016

Orario flessibile: sogno o realtà?

Orari flessibili nelle aziende italiane? Ce ne parla "Affari&Finanza".

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venerdì 25 novembre 2016

Occupazione liquida

Occupazione liquida? Ce ne parla "Affari&Finanza".

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giovedì 24 novembre 2016

Formazione duale sul modello tedesco

"Il Sole 24 Ore" ci racconta la formazione duale sul modello tedesco e come si cerca di applicarla anche in Italia.

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mercoledì 23 novembre 2016

Non è più il lavoro ma la sua assenza a generare mostri

(Fonte: "La Repubblica")

In Marx la critica allo sfruttamento del lavoro proprio del regime capitalista si è sempre accompagnata ad una valorizzazione del lavoro in quanto tale. Anzi, nei Manoscritti economico- filosofici del 1844 l’umanizzazione della vita non può che compiersi attraverso il lavoro che è innanzitutto il modo col quale si manifesta l’essenza dell’uomo in quanto tale. 
Se, infatti, il capitalismo deruba l’uomo della sua umanità, rendendolo simile ad una bestia da soma, è perché si è indebitamente appropriato del prodotto del suo lavoro. In questo modo ha reso impossibile quel riconoscimento del valore della vita umana che dovrebbe realizzarsi quando il lavoratore può specchiarsi nel prodotto del suo lavoro. È questo, in estrema sintesi, il carattere alienante dell’espropriazione capitalista del lavoro operaio: il lavoratore perde contatto con l’oggetto del proprio lavoro e con il senso stesso della sua prassi.

Esiste però una tendenza interna al marxismo dove questa valorizzazione del lavoro viene negata identificando l’attività stessa del lavoro – e non la sua forma alienata prodotta dal capitalismo – come una attività di mortificazione e di sfruttamento dell’uomo. 

Questa tendenza ha avuto diversi interpreti (da Andrè Gorz ad Herbert Marcuse, per lo più travisato, sino ai più recenti contributi di Robert Kurz, filosofo marxista tra gli autori di un eloquente Manifesto contro il lavoro redatto nel 2003) ed è quella risultata culturalmente dominante nelle contestazioni del ’68 e del ’77. 
Lavorare non alimenta la vita ma la mortifica, non genera soddisfazione ma abbruttimento. 

Il rigore umanistico del giovane Marx viene curvato verso un inedito edonismo libertario che rigetta il lavoro in quanto tale considerandolo un principio socialmente costrittivo. Il lavoro diventa un tabù di cui liberarsi il più in fretta possibile. (...)Non si trattava solo di criticare il lavoro alienato del regime capitalista, ma la tirannide in sé del lavoro, la trasformazione moralistica del mondo in un grande fabbrica di produzione.

Nell’attuale tempo della crisi economica e della disoccupazione crescente, soprattutto tra i giovani, questi discorsi impallidiscono di fronte alla dura prova della realtà. La vita umana senza la possibilità del lavoro è vita morta, vita che perde ogni dignità. I suicidi che nel tempo più acuto della recente crisi hanno colpito imprenditori e lavoratori segnalano spietatamente – come il giovane Marx aveva lucidamente affermato – che senza l’occasione del lavoro, senza impresa, la vita non accede ad alcuna libertà, ma tende a disumanizzarsi e a percepirsi come superflua e insignificante. È, infatti, solo attraverso il lavoro che facciamo esperienza della soddisfazione simbolica del riconoscimento. 


La nostra vita acquista valore umano perché, diversamente da quella animale, non si limita a reagire agli stimoli del mondo, ma sa trasformare il mondo, sa imprimere al mondo una forma umana. Perdere o non trovare lavoro significa essere tagliati fuori da qualunque esperienza fondamentale di riconoscimento. 

Il vero problema oggi non è la critica alla natura alienata del lavoro, ma l’esistenza di una economia sempre più afflitta dal primato della finanza che ha fatto evaporare la centralità umana del lavoro. La via “lunga” del lavoro è stata sostituita da quella “breve” dell’allucinazione finanziaria, del profitto facile. Quando infatti il profitto si separa dalla forza-lavoro per generarsi solo dal denaro, diviene l’indice drammatico di un rovesciamento nichilistico dei valori: non è il lavoro ad essere un valore, ma è il valore che riproduce se stesso a prescindere dal lavoro. 

(...)

Se al tempo fordista il lavoro veniva organizzato da una sua irreggimentazione paranoica ponendo in primo piano la sua meccanizzazione anonima che surclassa la singolarità del lavoratore, nel nostro tempo in primo piano è un godimento – quello della finanza – che rifiuta ogni limite subordinando alla sua avidità compulsiva e astratta la dimensione reale del lavoro. Per questo al posto dell’irreggimentazione disciplinare del lavoro di tipo fordista, oggi abbiamo il problema della sua precarizzazione e della sua evaporazione, il suo declassamento rispetto all’economia spettrale della finanza.
La fine del controllo paranoide del lavoro che aveva caratterizzato l’economia fordista (...) genera però una libertà individuale solo apparente. Il nuovo scenario antropologico del soggetto contemporaneo appare dominato da una precarietà diffusa che è la faccia oscura della maggiore individualizzazione e autoregolazione del lavoro. 

(...) non è il lavoro a sfruttare la vita, ma è la vita che senza lavoro si consuma in quella nuova schiavitù che chiamiamo libertà. Se l’espansione della libertà è una evidenza solo individualistica che taglia fuori i più deboli, che li priva dell’occasione del lavoro, questa libertà resta solo (...) una versione nichilistica del puro arbitrio.

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martedì 22 novembre 2016

Carriera? Devi sembrare un idiota

(Fonte: "Il Fatto")

Recita Il principio di Dilbert: “uno scimpanzé ritardato può bersi una cassa di birra ed essere comunque in grado di svolgere la maggior parte delle funzioni dirigenziali”.
A vent’anni dal fumetto di Scott Adams sulla stupidità aziendale, arriva il suggello della scienza: i cretini, a lavoro, fanno carriera.

Lo prova un libro dal titolo The paradox stupidity, power and Pitfalls of Functional Stupidity at Work, di Mats Alvesson e Andre Spicer. Il primo insegna “Business administration” (amministrazione aziendale) all’Università di Lund, Svezia; il secondo presiede la cattedra di “Organisational Behaviour” (comportamento organizzativo) alla Cass Business School di Londra.

La conclusione è impietosa: “Il pensiero acritico e irriflessivo, l’ottimismo cieco, è molto applaudito nelle imprese – spiega Alvesson – Le persone intelligenti mettono in discussione le cose, imbarazzando le persone che accettano l’ordine aziendale per interesse. Si può diventare impopolare se si sollevano problemi”.
Alvesson e Spicer hanno esplorato la galassia delle organizzazioni inglesi e statunitensi. “Ma i principi generali sono validi anche per l’Europa, come per tutte le organizzazioni contemporanee”, specifica Alvesson. “Per molti anni abbiamo studiato persone che lavorano in imprese pubbliche e private, inclusi molti manager. In più abbiamo consultato ricerche accademiche e gli esempi dei mass-media”.

Nascondere la polvere sotto il tappeto aiuta l’armonia. Credere ciecamente che tutto andrà per il meglio solleva lo spirito. Schivare i problemi è un toccasana per l’umore aziendale. Mentre la barca affonda, gli yesman guadagnano i favori dei piani alti. I più capaci invece si adeguano per non avere rogne, chiudendo l’intelligenza nel cassetto. In fondo, è la scelta più razionale e conveniente.

Molti manager sposano un paradosso – spiega Alvesson –: vogliono persone autonome e competenti, ma anche fedeli, docili, affidabili, che non mettano in discussione i loro capi e i regimi aziendali”. Come durante la crisi finanziaria del 2008, innescata dalla bolla dei mutui subprime. Furono le menti più brillanti a progettare gli algoritmi finanziari che condussero al disastro. “In quel caso, le persone intelligenti hanno fatto ciò che si chiedeva loro, smarrendo la visione d’insieme. Nessuno ha messo in dubbio ciò che tutti ritenevano giusto fare, ed è scoppiata la crisi”.

Il crollo di Wall Street è un tipico esempio di stupidità funzionale, secondo la definizione di Alvesson: “Un pensiero limitato e angusto, conformista, di chi non esce mai dalla sua casella”. Il risultato? Vietato avere dubbi. Mostrarsi positivi, sempre. “L’ottimismo è una regola universale – spiega Alvesson –, ma il rischio è di ignorare problemi gravi e di prendere decisioni sbagliate”.
Nokia lo ha imparato a sue spese. “La cultura della positività, in parte, ha condotto a uno scarso senso di realtà”, spiega il professore svedese. Sulle ali dell’ottimismo, Nokia si è impegnata in progetti troppo ambiziosi. Lo smartphone per soppiantare l’iPhone arrivò tardi e deluse gli utenti. In poco tempo, Nokia cadde nel baratro, divorata da Microsoft.

“I manager, talvolta, sono vittime dell’esaltazione dell’ego – dice Alvesson –. Credono di essere grandi leader, poi si scontrano con la realtà, dove le visioni, i valori, l’autenticità e altri ideali sono difficili da raggiungere. Il loro lavoro, spesso, richiede meno creatività e intelligenza di quanto si creda”. Mentre i dipendenti si adeguano ai dirigenti, questi ultimi rendono conto agli azionisti, il motore immobile dell’universo aziendale. Al vertice della piramide, il cielo è sempre sereno e le nubi lontane: “I manager sanno stupire quelli che vogliono solo buone notizie, perché fa parte della loro formazione: lo scopo è far felice il cliente”.

La stupidità funzionale è un virus democratico, nessuno ne è immune. “Contagia piccole e grandi aziende come Pepsi, British Airways, Amazon”, ammette Alvesson. Nemmeno la Silicon Valley, patria dell’economia della conoscenza, ne ha scovato l’antidoto. “Gran parte delle organizzazioni che, in apparenza, dipendono di più da informazioni e conoscenza, possono comportarsi in modo abbastanza stupido”, scrivono Spicer e Alvesson nel loro libro. “Le aziende assumono persone brillanti che finiscono per fare cose stupide (…) per capire come mai individui intelligenti si lascino conquistare da idee stupide, ricavandone una ricompensa, dobbiamo vedere qual è il ruolo della stupidità funzionale”. Alvesson è chiaro: “Aiuta l’adattamento, la concentrazione sul lavoro, l’entusiasmo e facilita le relazioni sociali”.

Nel breve periodo, la stupidità è il lubrificante degli ingranaggi aziendali. La catena di comando funziona spedita, l’armonia regna sovrana, la persone lavorano come un sol uomo. Ma nei tempi lunghi il disastro è garantito. In attesa del precipizio, le persone imparano la lezione: se qualcosa non va, lingua in bocca e sorriso largo. Facile, per un animo semplice.

Per i più brillanti, un calvario vero: “Iniziano a dubitare sul senso e l’utilità del proprio lavoro; perdono concentrazione, entusiasmo e motivazioni”. Nella giungla della stupidità, vince il camaleonte: “Seguire il flusso, usare slogan e vocaboli aziendali è un vantaggio – spiega Alvesson –. Limitarsi al proprio ruolo senza mettere in discussione nulla spesso paga se vuoi far carriera”.

Il coinvolgimento dei dipendenti, di sicuro, è una soluzione al paradosso della stupidità: “Far percepire ai lavoratori il senso d’appartenenza alla stessa famiglia, promuovere un’identità comune”. Alvesson suggerisce la partecipazione agli utili da parte dei dipendenti: “Una scelta di successo per la banca svedese Handelsbanken”. Non mancano antidoti meno ortodossi: “Nominare, in azienda, avvocati del diavolo per argomentare contro alcuni punti di vista dominanti, oppure una task force per identificare principi e pratiche critiche”.

Il rimedio più efficace, forse, è quello più antico: la collaborazione tra le persone. Non serve inventare la ruota: “I lavoratori possono provare a pensare in modo indipendente, parlarsi l’un l’altro, verificare se gli altri hanno l’impressione di eseguire istruzioni stupide che cozzano con la realtà. Poi, se è il caso, cercare a poco a poco di comunicare intuizioni più ampie. È la soluzione migliore e più prudente, almeno all’inizio”.

Collaborazione e intelligenza; stupidità e competizione. Un dilemma vecchio come l’uomo. Per ora, in ufficio, il pendolo oscilla dalla parte sbagliata.

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lunedì 21 novembre 2016

Smart working

Aziende italiane e smart working. Ce ne parlano "Italia Oggi" e  "Repubblica".

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venerdì 18 novembre 2016

Inglese: l'Italia tra gli ultimi Paesi europei

Secondo l'English Proficiency Index raggiungiamo a malapena la sufficienza nella lingua di Shakespeare. I migliori in Lombardia e Friuli, i peggiori in Umbria, Calabria e Sicilia.
Ce ne parla "Il Corriere della Sera".

E voi quali "trucchi" utilizzate per migliorare il vostro inglese?

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giovedì 17 novembre 2016

Il segreto è la squadra

"Il Corriere della Sera" ci ricorda l'importanza del gruppo nel mondo del lavoro.
E per chi si fosse perso tutto quello che abbiamo scritto sul team working, eccovi la selezione di QualitiAmo: Team building

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mercoledì 16 novembre 2016

Giovani nella morsa della sfiducia

Laureati, tassi di occupazione e di disoccupazione: Italia nelle retrovie tra i Paesi UE.
Ce ne parla "Il Sole 24 Ore".

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martedì 15 novembre 2016

Retribuzioni al traino di incentivi e welfare

Come stanno andando le retribuzioni in Italia? Ce ne parla "Il Sole 24 Ore".

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lunedì 14 novembre 2016

Viaggi di lavoro "addio"...

Biglietti e prenotazioni per motivi aziendali, d’affari o di rappresentanza sono scesi del 15,1%: passando da 8,112 milioni del 2014 a 6,894 milioni del 2015. Scendono anche le uscite per congressi, conferenze e corsi di aggiornamento.

Ce ne parla "Il Corriere della Sera".

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venerdì 11 novembre 2016

Vincono le competenze miste

Alternare scuola e lavoro è una buona idea? Sembra di sì. Ce ne parla "Il Corriere della Sera".

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giovedì 10 novembre 2016

Imprenditori per combattere la crisi

175mila giovani diventano imprenditori per combattere al crisi.
A seconda di dove vogliate leggere la notizia, eccovi "Il Sole 24 Ore" e "Il Corriere della Sera".

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mercoledì 9 novembre 2016

I profili più richiesti dalle imprese

Periodicamente escono articoli che ci illustrano quali siano i profili più richiesti nel mondo del lavoro italiano. Questa è la volta di "Tuttosoldi" de: "La Stampa".

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martedì 8 novembre 2016

Tirocini per far imparare un mestiere o per avere manodopera a basso costo?

Qual è la situazione dei tirocini in Italia rispetto ad altri Paesi? Prova a illustrarcela "Il Fatto Quotidiano".

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lunedì 7 novembre 2016

Mettersi in proprio (4)

Ed eccovi l'ultima parte dedicata ai lavoratori in proprio, sempre proposta da: "Il Sole 24 Ore". Cosa bisogna fare se si vuole chiudere l'attività?

La chiusura dell'impresa

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venerdì 4 novembre 2016

Mettersi in proprio (3)

Eccovi il penultimo riferimento de: "Il Sole 24 Ore" relativo al lavoro in proprio.

I modelli d'impresa

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giovedì 3 novembre 2016

Mettersi in proprio (2)

Eccovi un'altra parte dell'inserto relativo al lavoro autonomo proposto nei giorni scorsi da: "Il Sole 24 Ore".

Collaboratori e dipendenti.

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mercoledì 2 novembre 2016

Mettersi in proprio

Recentemente "Il Sole 24 Ore" ha dedicato un ampio inserto al mettersi in proprio.

Vi riportiamo le pagine che abbiamo ritenuto più interessanti per chi volesse tentare questa strada (o cessare l'attività in proprio che sta portando avanti per passare ad altro).

Eccovi i primi due spunti:

Il difficile slalom tra business e regole

Regimi fiscali e contabilità

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lunedì 31 ottobre 2016

Le migliori app per smettere di procrastinare

Non è facile terminare tutte le attività che ogni giorno programmiamo di svolgere ma, se siete abituati a distrarvi facilmente e a far vagare la mente su internet, forse queste applicazioni potrebbero esservi un po' di aiuto, in assenza di forza di volontà. ;)

SELF CONTROL
Self control è la prima applicazione che proponiamo a chi ha l'abitudine di procrastinare a causa delle continue distrazioni che arrivano dalla rete. 


Il suo funzionamento è molto semplice: compilata un lista nera dei siti che vi fanno perdere tempo e stabilito per quanto tempo volete tenervene lontani, li blocca per tutto il tempo necessario affinché possiate lavorare in santa pace.  

Ah! Niente ripensamenti in quel periodo di tempo perché, anche se rimuoverete l'applicazione e riavvierete il dispositivo, il programma non smetterà di funzionare fino a quando il tempo non sarà scaduto!

APPDETOX

Anche con AppDetox è possibile creare le proprie regole per ridurre un uso troppo intenso dei siti che vi fanno perdere tempo.
L'applicazione vi permetterà di stabilire alcune regole e vi riprenderà quando proverete a violarle!

SQUAWK

Se i vostri problemi con la procrastinazione sono legati al fatto che vi fate spesso sopraffare dalla lunghissima lista delle cose che dovete fare, questa app è per voi!

Stabilite le priorità dei compiti da svolgere, l'applicazione vi ricorda - attraverso dei promemoria - cosa avete in programma di svolgere, una cosa alla volta.

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venerdì 28 ottobre 2016

Ancora sull'utilizzo delle e-mail...

Un altro articolo sull'utilizzo delle e-mail. Lo trovate su: "Il Corriere della Sera".

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giovedì 27 ottobre 2016

Troppo tempo seduti in ufficio?

Se state troppo tempo seduti in ufficio, la vostra forma fisica ne risente. Che la soluzione sia un pallone?
Ce ne parla "Il Corriere della Sera".

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mercoledì 26 ottobre 2016

Da vittime a capi dis e stessi

"Il Corriere Economia" ci parla di leadership. Cosa ne pensate?

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martedì 25 ottobre 2016

Gig...cosa significa?

In questi giorni sui giornali abbiamo letto moltissime volte di "Gig" ma cosa significa esattamente? E' la solita parola inglese che maschera una fregatura? Ce ne parla "Il Corriere della Sera".

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lunedì 24 ottobre 2016

Aziende rivoluzionate dai social

"Italia Oggi" ci parla di aziende e social e di come si stanno evolvendo i rapporti.

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venerdì 21 ottobre 2016

Tre aziende su dieci non trovano i profili giusti

Tantissime persone alla ricerca di un nuovo lavoro, eppure le aziende non riescono a trovare i profili giusti.

Possibile?

Sembra di sì. Ce ne parla "Il Sole 24 Ore".

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giovedì 20 ottobre 2016

L'ora del potere

Tony Robbins, saggista, scrittore e life coach statunitense, è solito ricordare che ogni decisione nella nostra vita è controllata da due forze:
  • il nostro stato (come ci sentiamo in quel momento)
  • il nostro progetto (la nostra struttura costituita da ciò in cui crediamo e dai nostri valori)
In particolare, oggi vedremo quali suggerimenti ci offre per controllare il nostro stato.

Vi siete mai fermati a pensare a tutte le diverse emozioni - positive e negative - che provate durante una settimana tipo della vostra vita degli ultimi anni?  
Provate a buttare giù una lista e vi accorgerete, molto probabilmente, che è estremamente corta, cosa abbastanza comune.
Non possiamo controllare gli eventi della nostra vita e ciò che ci capita ma possiamo imparare a controllare ciò che significa ogni evento per noi.  

La famosa "Hour of Power" (l'ora del potere) di Robbins ci aiuta a stabilire dei rituali che, giorno dopo giorno, ci possono aiutare a porci nello stato d'animo migliore per agire in positivo sulle nostre vite.

Questa ora è da considerare come del tempo da dedicare a noi stessi, da ritagliarsi ogni giorno, possibilmente come prima cosa da fare ogni mattina.  


Ecco come funziona:
  • Fase 1: Alzatevi dal letto e fate un po' di esercizio fisico. Se è possibile, andare fuori a fare una breve passeggiata o una corsetta. In questo modo metterete in moto il vostro metabolismo e vi sentirete fisicamente meglio. 
  • Fase 2: Tornati a casa, per circa 15 minuti, pensate a tutto quello per cui dovreste essere felici, a partire dalle cose che riguardano voi direttamente, la vostra famiglia, gli amici, i colleghi, i momenti speciali che avete vissuto e così via. 
Cosa ne pensate? L'ennesima "americanata" o un suggerimento che, se calato a dovere nella nostra realtà quotidiana e nella nostra cultura, può darci una mano a migliorarci?

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mercoledì 19 ottobre 2016

La tecnica del pomodoro

Qualcuno di voi conosce la tecnica del pomodoro? E' una delle metodologie più applicate nell'ambito del time management e può aiutarvi ad aumentare la produttività e ad accorciare la lista delle cose che dovete fare.

Si basa sulla suddivisione del tempo che avete a disposizione durante una giornata lavorativa in periodi di grande efficienza alternati a periodi di riposo.

Funziona in questo modo:
  • scegliete un'attività che, per essere svolta, ha bisogno di tutta la vostra attenzione;
  • prendete un timer (magari fatto a pomodoro, visto che è proprio da qui che deriva il nome di questa metodologia) e fissate un intervallo temporale di 25 minuti;
  • lavorate sull'attività da svolgere fino a quando il timer non suonerà, senza distrarvi e senza interrompervi;
  • al suono del timer, mettete una crocetta su un foglio e prendetevi 5 minuti per riposarvi;
  • ricominciate tutto da capo e segnatevi quanti intervalli da 25 minuti sono necessari per svolgere ogni attività (ad esempio: verbale riunione - 2 crocette)
  • arrivati a 4 suoni del "pomodoro", prendetevi una pausa più lunga (la classica pausa caffé)
Può sembrare una tecnica sciocca ma chiunque è in grado di concentrarsi e di lavorare seriamente per almeno 25 minuti e suddividere in questo modo la vostra giornata, riposandovi tra un intervallo e l'altro, vi permetterà di essere più motivati ed efficienti.

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martedì 18 ottobre 2016

Quando la tecnologia in ufficio è un problema

"La Stampa" ci racconta che il 43% dei lavoratori va in difficoltà quando si parla di servizi cloud e che ci sono problemi anche con programmi come Power Point e Word. Vi risulta?

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lunedì 17 ottobre 2016

Il mondo sulle spalle dei 50enni

Nel 2030 un occupato su quattro sarà over 55. Un piccolo esercito di sei milioni di persone che può fare la ricchezza del Paese. A una condizione: non vedere l'invecchiamento come un problema, ma il vivere a lungo come un'opportunità. Ce ne parla "la Repubblica".

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venerdì 14 ottobre 2016

I falliti di successo

Vi ricordate questo articolo? "Il Corriere della Sera" torna sull'argomento, completando la riflessione fdatta qualche mese fa.

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giovedì 13 ottobre 2016

La formazione è un'avventura

Le esperienze estreme servono a imparare a gestire l'imprevisto?
Sembra di sì. Ce lo racconta "Italia Oggi".

"Formarsi scalando una montagna o affrontando una tempesta in mare aperto. Perché solo superando le improvvise e imprevedibili difficoltà ambientali si può acquisire quella prontezza di reazione che sul lavoro permetterà di affrontare le criticità e migliorare produttività aziendale e risultati personali."

(...)

"Basta dare un'occhiata all'attuale contesto socio-economico: altamente Volatile, Incerto, Complesso a Ambiguo (Vuca, l'espressione coniata dalla US Army per descrivere il mondo dopo la fine della Guerra Fredda).

La sensazione di insicurezza e le conseguenti paure si riflettono sulle organizzazioni aziendali sui contesti professionali. Da qui la necessità di introdurre strumenti di formazione innovativi, come l'adventure trainig, in grado di far evolvere le abilità del singolo e la sua capacità di interpretare e superare con successo sfide complesse.

Il clima di strutturale incertezza che stiamo vivendo impone un cambio di atteggiamento che porti a considerare l'imprevedibilità come una costante.

(...)

Imprese e singoli individui devono imparare a uscire dalla propria comfort zone. Affrontare situazioni di particolare criticità, in condizioni avverse e lontane dalla consuetudine, permette di potenziare le cosiddette soft skill dei collaboratori per il miglioramento della produttività aziendale e il conseguimento di risultati personali e di gruppo impensabili. 

(...)

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mercoledì 12 ottobre 2016

Coccolati ed efficienti

Otto imprese su dieci interessate ai piani di welfare aziendale che migliorano la produttività e riducono turnover e assenteismo. Ce ne parla "Italia Oggi".

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martedì 11 ottobre 2016

Il welfare aziendale funziona

Secondo lo studio riportato da "Il Sole 24 Ore" il welfare aziendale funziona e sono molte le aziende che ci credono. Cosa ne pensate?

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lunedì 10 ottobre 2016

Esperti di problem solving anche nel campo della Logistica

Chi risolva problemi serve moltissimo oggi e le aziende se ne stanno accorgendo ogni giorno di più. Ce ne parla "Affari&Finanza" che illustra come il settore della Logistica sia a caccia di problem solver.

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venerdì 7 ottobre 2016

I legami tra arte e produttività

Più arte per avere più produttività? Sembra che le opere d'arte stimolino le persone ad essere più produttive. Ce ne parla "Affari&Finanza". 

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giovedì 6 ottobre 2016

Le figure dirigenziali che trovano sempre lavoro

State pensando di intraprendere un percorso universitario o qualcuno a voi vicino è davanti a una scelta del genere? Eccovi le figure dirigenziali che, a detta di "Affari&Finanza", trovano sempre lavoro.

Ma c'è anche il retro della medaglia e ce lo spiega sempre "Affari&Finanza".

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mercoledì 5 ottobre 2016

Che affare le donne al comando

Ancora sulla leadership femminile...

(Fonte: "Il Venerdì")

Con un po' di donne al comando, conviene: crescono gli utili aziendali e i capi ringraziano. Lo assicura uno studio (...) che ha coinvolto 21.980 imprese in 91 Paesi (196 solo in Italia) e che ha concluso che basta un 30 per cento di donne nei cda per assicurarsi un incremento del 6 per cento della quota di utile netto. 

L'Italia in questa classifica è arrivata terza, dopo Norvegia e Lettonia: a giugno 2014 aveva il 24 per cento, l'anno dopo ha sfiorato il 28 per cento (mentre Germania e Olanda erano ferme al 6 per cento).

La ragione? Il valore delle manager unito alla legge sulla parità di genere nei consigli di amministrazione delle aziende quotate che venne approvata dal governo (...) nel 2012. Norme che, cifre alla mano, hanno funzionato (nel 2011 il dato era del 7,4 per cento) ma che sono temporanee. L'effetto, infatti, potrebbe esaurirsi (o ridursi) nel 2022 perché le quote sono imposte solo per tre rinnovi del board. Poi si vedrà.

Leggendo questo articolo non so se sentirmi molto triste o tristissima.

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martedì 4 ottobre 2016

La leadership femminile


(Fonte: "D")

Le previsioni del World Economic Forum non sono incoraggianti: considerato che negli ultimi 10 anni il divario economico tra donne e uomini si è ridotto solo del 3%, ce ne vorranno altri 118 per arrivare alla sospirata parità di genere.
Il divario economico, ovviamente, riflette anche il livello di potere - o presenza - che le donne hanno raggiunto nelle aziende (...) con le solite nazioni scandinave in testa alle classifiche e l'Italia al 41esimo posto su 145 Stati (...)

(...)

Dalla Global Win Conference (...) emerge come il 70% rietenga che i vertici aziendali siano pronti a riconoscere la leadership alle donne (nel 2009 era il 54%)
E' cambiato soprattutto l'approccio al work-life balance: se nel 2009 il 73% delle donne dichiarava di dedicare il 60% del tempo al lavoro, oggi la percentuale è scesa al 63%, avvicinandosi a quello che risulta essere l'equilibrio ideale più richiesto: stare in ufficio la metà del tempo.

Che un women way of management stia lentamente prendendo piede? E' indubbio che negli ultimi 20 anni lo stile del management sia cambiato (...). C'è molta meno adesione al modello maschile, fino a pochi anni fa dominante. Ora il focus si sta spostando sul work-life balance, tema che non crea più imbarazzo.
(...)
Il processo non sarà breve, ma il futuro vedrà spostarci su valori più tipicamente femminili, la collaborazione e la resilienza. Ma soprattutto dovrà essere soddisfatta la richiesta di tempo per sé.

Studi fatti in Svezia, dove si va verso la riduzione dell'orario a 6 ore, dimostrano che la produttività può aumentare anche modificando il modello orario. Servono leader illuminati che sposino l'idea e la facciano applicare: i modelli e i valori femminili potrebbero anche essere la risposta più adatta per uscire da una crisi che non è solo produttiva ed economica.

(...)

Molto del lavoro da fare è culturale: il modello patriarcale resiste tra gli uomini, ma anche tra le donne. Per questo servono occasioni di confronto (...) ma anche modelli positivi.

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lunedì 3 ottobre 2016

Le regole per trovare un buon posto di lavoro

Per quello che può servire, eccovi le sette regole d'oro di "Panorama" per trovare il lavoro dei sogni.

Segui le tue passioni

Il lavoro più facile da trovare spesso è anche quello che ci piacerebbe di più fare (...)
In altre parole: quando inizi un percorso di studio e formazione, scegli ciò che più ti interessa. Solo assecondando i tuoi stimoli e seguendo una strada che ti appassiona, infatti, riuscirai ad accorgerti di ciò che sarebbe utile per migliorare quella strada e migliorare te.

Impara le lingue

Sembra un consiglio scontato ma non lo è, visto che buona parte dei selezionatori inorridisce davanti all'inglese mostrato da candidati che nel loro cv assicuravano padronanza assoluta.
Specializzati, esercitati costantemente, segui corsi e programmi di scambio al di fuori di quelli scolastici. E se hai il tempo e la possibilità di concentrarti su un secondo idioma, scegline uno non banale: sì al giapponese, arabo e spagnolo, no a cinese, francese e tedesco.

Sii internazionale

Lingue straniere a parte, è molto difficile che i recruiter valutino positivamente una candidatura quando non è puntellata da esperienze all'estero. Non deve trattarsi necessariamente di periodi formativi o lavorativi coerenti con l'impiego che si insegue (...), l'importante è che comunichino apertura mentale e capacità di adattamento. 
Anche l'Erasmus funziona ma ormai non basta più.

Domani vedremo insieme la seconda parte dell'articolo.

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venerdì 30 settembre 2016

Lavorate da casa e lo fa anche chi vive con voi?

Cosa succede quando una coppia lavora in casa? L'avvincente risposta in questo articolo de: "Il Corriere della Sera". ;)

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giovedì 29 settembre 2016

Quando le nuove idee sostituiscono il CV

Cosa si sta muovendo nel mondo della ricerca di un nuovo lavoro? Ce lo racconta "Il Corriere della Sera".

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mercoledì 28 settembre 2016

Poco per ottenere tanto: gestire un fornitore col minimo sforzo - 3

Il terzo passo fondamentale per assicurarci una buona fornitura da parte di un fornitore è:

L'ispezione delle merci presso la sede del fornitore
Quando un fornitore è nuovo e i materiali per i quali vi state approvvigionando presso di lui sono critici, è bene non arrivare alla spedizione delle merci senza aver controllato in precedenza che siano in linea con le vostre specifiche perché, una volta arrivate presso la vostra sede, potrebbe essere troppo tardi per poter porre rimedio ad eventuali non conformità. 

 
Ecco perché, almeno la prima volta o fino a quando non sarete certi che il nuovo fornitore lavori in un certo modo, il nostro suggerimento è di ispezionare i prodotti durante la produzione e / o pochi giorni prima della loro spedizione.  

Se avete il necessario know-how e se il fornitore è abbastanza comodo da raggiungere, potete procedere in autonomia. In alternativa, è possibile appoggiarsi a un'agenzia che svolga per voi questo tipo di mansioni.
Un'ispezione effettuata durante la produzione permette di accorgersi presto di eventuali problemi mentre si è ancora nelle prime fasi del processo. In questo modo è possibile richiedere azioni correttive e controllare in seguito che siano andate a buon fine. E' inutile dirvi che è molto più facile in questa fase fare aggiustamenti prima che tutti i beni siano stati completati, imballati e preparati per la spedizione.
I controlli dopo la produzione e prima della spedizione delle merci consentono, invece, di verificare le quantità, l'imballaggio, l'etichettatura e la qualità media stabilita in base a test effettuati su alcuni campioni prelevati a caso dalla merce pronta per essere spedita.
Come abbiamo spiegato ieri, se avrete fatto un buon lavoro con le specifiche, ci sarà poco spazio per eventuali discussioni nel caso in cui si presentassero non conformità.


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